Contrasto alla violenza

Le emozioni come segnali sociali e regolatori del comportamento

Durante la giornata dedicata al contrasto alla violenza è stata mostrata la registrazione di un esperimento al quale sono state sottoposte alcune persone, adulti e bambini. Divisi per fascia di età, singolarmente o in coppia sono state condotte in una stanza nella quale successivamente è entrato un gruppo di persone; in tale gruppo le donne riportavano evidenti segni di traumi sul viso e/o sul corpo. È stato chiesto di identificare alcune coppie nel gruppo e di ipotizzare le cause dei segni riportati dalle donne. Mentre gli adulti, anche giovani, hanno attribuito tali segni a violenze attuate da quello che ritenevano fosse l’altro membro della coppia, i bambini hanno ritenuto impossibile tale eventualità giustificando i traumi con avvenimenti accidentali; per la loro logica ferrea, se vuoi bene a qualcuno non devi farle del male.

Questo filmato ha fornito alcuni spunti di riflessione:

  1. se i bambini, che hanno spesso una fervida immaginazione, non riescono ad immaginare violenza tra chi si vuole bene, come mai per gli adulti sembra quasi essere normale?
  2. Gli adulti violenti lo erano già da bambini?
  3. E le donne che ora subiscono erano bambine che ritenevano la violenza un atto d’amore?
  4. Cos’è che trasforma un bambino in un adulto violento o in un adulto passivo?

Sicuramente l’educazione al rispetto, fornita dalla famiglia con l’esempio, è fondamentale. Ma questo, fortunatamente, non vuol dire che tutti coloro che provengono da situazioni di violenza familiare saranno aguzzini o vittime né, purtroppo, che coloro che non provengono da quelle situazioni non lo saranno.

Un buon sistema di prevenzione di questi rischi è l’educazione alla gestione ed all’espressione delle emozioni.

Le emozioni sono un sistema filogeneticamente molto antico che ha permesso alla nostra specie di arrivare ad oggi; anche quelle ritenute negative hanno avuto la loro importanza nella conservazione della specie. La rabbia e la paura hanno permesso ai nostri progenitori di decidere in un tempo brevissimo se la situazione richiedeva l’attacco o la fuga. Inoltre, è stato il primo sistema di comunicazione, ancor prima della comparsa del linguaggio parlato, permettendo la socialità anch’essa necessaria alla sopravvivenza.

Ancora oggi le emozioni assolvono molte funzioni: preparano l’organismo all’azione, inviano segnali a noi stessi e agli altri sui nostri bisogni, forniscono giudizi sulla situazione attuale (es. paura=pericolo), motivano all’azione, facilitano attenzione e memoria.

E come mai in alcuni casi diventano disadattive? Ciò accade quando si agisce l’emozione senza riconoscerla ed esprimerla.

Purtroppo la nostra cultura ci spinge a reprimere le emozioni, segnali di debolezza; ma ignorarle non serve a non farle emergere. Ogni volta che ci sentiamo in pericolo proviamo in automatico rabbia o paura, o entrambe. Non è possibile evitarle, è necessario comprendere se sono adeguate alla situazione e ciò necessita di addestramento alla analisi dell’emozione stessa e dei pensieri che la elicitano.

Un individuo violento è guidato dalla rabbia; la vittima dalla paura. Ma dietro quella rabbia e quella paura, oltre ai comportamenti visibili a tutti, ci sono dei pensieri, invisibili a tutti, soprattutto a coloro che stanno agendo in modo acritico l’emozione.

Dietro alla violenza, soprattutto di genere, c’è aggressività che è probabile scaturisca dalla rabbia di mancato o scarso controllo su una persona che viene considerata oggetto di proprietà esclusiva. Se la

persona violenta riconoscesse il pensiero che la guida e se riuscisse a metterlo in discussione, la rabbia, seppur lentamente, svanirebbe.

Ma l’espressione adeguata delle emozioni è un processo complesso. Anche senza arrivare ad episodi di eccessiva violenza, di solito o non si esprimono, mantenendo un comportamento passivo, oppure si esprimono in modo aggressivo e, in entrambi i casi, si rischia di provare insoddisfazione e di danneggiare una relazione anche importante.

Per l’espressione delle proprie emozioni è utile seguire i seguenti passi:

  1. Prendere contatto con ciò che si prova, con le modificazioni fisiologiche che il nostro corpo sta mettendo in atto, al fine di riconoscere l’emozione.
  2. Una volta riconosciuta identificare l’evento specifico che l’ha suscitata e quindi attribuire ciò che si prova all’evento specifico. Non pensare genericamente: “sono arrabbiata” ma: “questo preciso evento mi fa arrabbiare”.
  3. Riconoscere che in NOI, e magari non in altri, quell’evento crea quell’emozione; prendersene quindi la responsabilità.

Il chiarire, a noi stessi ed all’altro, l’emozione e l’evento che l’ha scatenata ha effetto di comunicazione intra ed intersoggettiva dando un chiaro segnale di confine che permette di mantenere una relazione positiva.

Abbiamo visto che l’aggressività può esistere anche in assenza di rabbia (rapina a mano armata)

Viene da chiedersi se è amore quello che lega una vittima al carnefice e viceversa. Sicuramente è un legame malato. Ma come nasce? E come evitarlo?

Bruno ci ha illustrato i diversi tipi di violenza nella coppia: ora parliamo di violenza fisica, di un uomo che picchia la compagna.

Dividetevi che è meglio…

L’etimologia della parola è da ricondursial latino emovere, ex movere, letteralmente portare fuori. La treccani la fa risalire al francese emouvoir, mettere in movimento, grosso modo siamo lì.

Questa è la definiziione che ne da la treccani

In pratica le emozioni altro non sono che stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicologiche provocate da stimoli interni o esterni, naturali o appresi

L’emozione è una sorta di PONTE tra mondo interno e mondo esterno con la funzione di ESPRESSIONE DI STATI INTERNI, più o meno rappresentabili da parte della coscienza, e di COMUNICAZIONE INTERPERSONALE.

L’importante, quindi, è riuscire a gestire le emozioni positive e negative in maniera costruttiva perchè anche le emozioni positive possono essere pericolose. Pensate che i circuiti neurali che si attivano in presenza di emozioni positive, del piacere, della gioia, sono glistessi che si attivano nelle dipendenze di qualsiasi tipo (da sostanze, gioco d’azzardo)

Da un punto di vista adattativo cosa sono le emozioni? Sistema filogeneticamente molto antico che permette il controllo automatico dell’azione in quanto le emozioni sono caratterizzate dal’limmediatezza, ma solo in senso temporale in quanto poi vedremo che sono sotto l’influsso di potenti mediatori, ed hanno un valore informativo interno ed esterno. Cioè fanno comprendere a noi ad esempio se è il caso di scappare o di attaccare e nello stesso tempo informano l’altro sulle nostre intenzioni.

Questo sitema ha permesso la sopravvivenza della nostra specie in quanto, come gli altri primati sociali, i nostri avi comunicavano tramite segnali non verbali. La comparsa del linguaggio non ha sostituito il sistema di comunicazione non verbale ma ha sovrapposto ad esso un nuovo livello di comunicazione e le espressioni non verbali delle emozioni sono spesso, ancora oggi, gli indizi più affidabili che abbiamo a disposizione, spesso capiamo cosa prova una persona anche senza che ce lo comunichi verbalmente.

Ricapitoliamo le funzioni delle emozioni

Prima funzione è quella di Azione, che include l’azione vera e propria ma anche la preparazione dell’organismo all’emergenza, cioè le risposte fisiologiche e tonico-posturali, la prontezza e la preparazione ad agire anche solo a livello mentale.

—Segnalazione intersoggettiva: comunicare all’esterno lo stato del nostro organismo.

Segnalazione intersoggettiva: informare il nostro organismo in modo globale ed immediato del suo stato rispetto ai suoi bisogni, desideri ed aspettative.

—Rappresentativa di un giudizio. L’esperienza di paura è l’equivalente di dire “questa situazione è pericolosa”.

—Motivazione ad agire. Sempre pensando alla paura , il fatto di provare questa penosa sensazione ci spinge ad escogitare comportamenti che allontanino o prevengano il pericolo.

—Focalizzazione attentiva. L’emozione indirizza e fissa l’attenzione sull’evento che l’ha generata con la possibilità di attento esame per la ricerca di eventuali soluzioni.

—Facilitazione mnestica. Dati sperimentali suggeriscono che il ricordo sia influenzato dallo stato affettivo del soggetto al momento dell’esperienza e al momento della rievocazione e della congruenza tra lo stato affettivo di chi ricorda e la tonalità affettiva delle cose da ricordare.

Ma se le emozioni hanno tutte queste funzioni al livello sociale, quindi sembrano essere molto importanti, come mai a volte ci fanno stare male? Come mai diventano disadattive?

E l’espressione adeguata delle emozioni è un processo complesso.

Di solito, o non si esprimono, mantenendo un comportamento passivo, oppure si esprimono in modo aggressivo e, in entrambi i casi, si rischia di provare insoddisfazione e di danneggiare una relazione alla quale magari teniamo.

Per l’espressione delle proprie emozioni è utile seguire i seguenti passi:

Prendere contatto con ciò che si prova, con le modificazioni fisiologiche che il nostro corpo sta mettendo in atto al fine di riconoscere l’emozione. Una volta riconosciuta riconoscere l’evento specifico che l’ha suscitata e quindi attribuire ciò che si prova all’evento specifico. Cioè non dire sono arrabbiata ma dire che la richiesta di mia madre mi ha fatto arrabbiare.

Riconoscere che in NOI quell’evento crea quell’emozione, , esprimerla assumendosene la responsabilità.

Il chiarire a noi stessi ed all’altro l’emozione e l’evento che la ha scatenata ha effetto di comunicazione intra ed intersoggettiva dando un chiaro s